Appena abbiamo avuto la disponibilità dell’uso dell’area di Bosco Virgiliano, nel 1996 con una prima convenzione temporanea, abbiamo attivato un percorso che si è poi rivelato come la proposta più significativa riguardo agli obiettivi educativi che Parcobaleno ha messo in campo: l’uso ludico degli spazi naturali finalizzato al rafforzamento dell’autonomia e dell’autostima del bambino.
Oggi i bambini conoscono l’ambiente più per sentito dire che per esperienza diretta e, pertanto, quando sono all’aperto, non si sentono a loro agio a meno che non trovino spazi e giochi già strutturati.
Il filo conduttore dell’iniziativa è proprio il recupero dell’autonomia del bambino che, opportunamente aiutato, gli permette di dare sfogo liberamente alle proprie capacità innate di inventare, muoversi, mettersi alla prova.
Nell’autunno del 1997 quindi, prendemmo contatto con Amilcare Acerbi, pedagogista e già direttore pedagogico dei servizi educativi del Comune di Torino, nonchè presidente del CIGI-Comitato Italiano Gioco Infantile che negli anni 70 e 80 ha divulgato i principi del robinsonismo in tutta Italia.
Acerbi si rese disponibile per una giornata di “formazione” che comprendeva un incontro con il gruppo di capi scout del gruppo CNGEI, sui principi ispiratori del robinsonismo e sull’organizzazione dei campi robinson, e un pomeriggio di attività a Parcobaleno aperto a tutti i bambini, come “dimostrazione “ pratica di quanto spiegato in mattinata. Un’esperienza molto coinvolgente che permise di partire con una serie di iniziative sperimentali di “giornate di gioco” in cui per alcune domeniche era possibile portare i bambini (6-12 anni) a Parcobaleno nel pomeriggio e lasciarli giocare, guidati da alcuni educatori. Presenza dei genitori non gradita e proposta di campeggio finale dal sabato pomeriggio alla domenica.
Le “giornate Robinson” ebbero un grande successo tale da far venir voglia dopo alcuni anni, di lanciarsi in un’altra entusiasmante avventura: riattivare l’attività ricreativa estiva – finalità a cui era destinata originariamente la struttura di Bosco Virgiliano negli anni 60 – con l’impronta del robinsonismo.
Nacque così il Campo Avventura Robinson. Era il 2008.
“La varietà e la dimensione delle esperienze spazio-temporali sono alla base dello sviluppo della memoria, della creatività, delle abilità, del senso di sicurezza e dello spirito di iniziativa.
La scuola lavora quasi esclusivamente su sistemi simbolici, dando per scontata l’esperienza della realtà, che, invece, si va riducendo sempre più sia sotto l’aspetto quantitativo sia sotto l’aspetto qualitativo. C’è quindi bisogno di un costante riferimento diretto con la realtà di ambienti per quanto possibili vari ed estesi perchè i bambini crescono in ,spazi limitati e poveri di stimoli fisici e sociali. I bambini ricevono messaggi, o più genericamente stimoli di natura simbolica, in misura enormemente più grande della loro esperienza del mondo fisico e sociale. Chiusi in spazi sempre uguali, ai bambini si offrono, quale finestra sul mondo, tante immagini e tante parole. La televisione li ‘trasporta’ in ogni luogo, fa vedere ogni sorta di paesaggio e di animale, gli propone emozioni e suggestioni di ogni tipo, oltre la realtà possibile. Tutti i modi di vivere e di pensare sono analizzati ed esposti in opere scientifiche e di divulgazione realizzate con ogni sistema di comunicazione. I bambini interpretano questa enorme massa di messaggi sulla base della loro limitatissima esperienza del mondo, riducendone e alterandone profondamente i significati.
Ecco quindi che gli ambienti naturali possiedono qualità adatte al gioco che non possono essere sostituite in alcun modo e che sono indispensabili (sebbene non sufficienti) allo sviluppo armonico della personalità. L’irresistibile attrazione esercitata dagli ambienti naturali sui bambini può essere spiegata dal potenziale creativo dei bambini che si esprime nell’interazione con l’ambiente creativo per eccellenza: la natura stessa. Le qualità principali sono la varietà, la possibilità di interagire, di manipolare, la complessità, il piacere sensorio, la possibilità di esplorare, ecc. L’aspetto più importante, però, è un senso generale di vita, non solo del bambino e dell’ambiente, ma del loro rapporto reciproco .”
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Dalla relazione fornita all’Amministrazione Comunale a sintesi del ruolo avuto da Parcobaleno nell’ambito delle attività previste dal programma “La Città dei Bambini e delle Bambine” .
Città dei bambini e delle bambine: l’esperienza del Parco-Gioco-Avventura al Bosco Virgiliano, 1997-2001.
Dal 1997 l’Associazione Anticittà e il Gruppo Scout CNGEI, hanno proposto un percorso di approfondimento di nuove modalità di gioco e tempo libero legato all’ambiente per bambini e ragazzi dai 5 ai 12 anni.
La preparazione di questa proposta risale a qualche anno prima ed ha implicato una ricerca approfondita a partire dall’esperienza dei Parchi Robinson, nati negli anni ’60-70 un po’ in tutta Italia. Oltre ad un accurato lavoro di reperimento di documentazione, per le quali è stata preziosa la collaborazione del “Progetto Gioco” del Settore Servizi Educativi-Segreteria Pedagogica del Comune di Torino, le associazioni hanno contattato Dott. Amilcare Acerbi, che si è reso disponibile ad un incontro di approfondimento e formazione per la preparazione degli organizzatori ed animatori. Il dott.Acerbi è stato, tra le altre cose, per anni il presidente del C.I.G.I – Centro Italiano Gioco Infantile, che ha promosso in tutta Italia, appunto, la modalità ricreativa del Parco Robinson.
Questa forma di attività ludico-ricreativa, dimenticata negli anni, diventa sempre più attuale per il modificarsi in senso aberrante delle condizioni di spazio e tempo che i bambini oggi dedicano al gioco.
“La paura di ciò che si può trovare o incontrare, la scarsa appetibilità dei luoghi e delle risorse, spingono sempre più i genitori e gli educatori a contenere i bambini e ragazzi in luoghi chiusi: aule, palestre, laboratori, casa, davanti a tv o computer. La difficoltà per i ragazzi di utilizzare senza rischi le piazze e le strade costringe i genitori ad accompagnare, ovunque, i figli, che trascorrono così, anni e anni di vita passando da una “scatola” all’altra, dall’appartamento all’ascensore, dall’auto all’aula, alla palestra, al laboratorio e ritorno. Tutto questo a dosi massicce, con tempi frenetici, determinati dagli impegni degli adulti accompagnatori. Il desiderio di esperienze, di conoscenze, di scoperta, di avventura, di amici, così connesso con la natura del bambino, in una simile organizzazione quotidiana, viene costantemente compromesso.
E’ diventato difficile avere il tempo e l’occasione di sperimentare una conoscenza nuova con un coetaneo, sperimentare il rapporto con chi altro sa, provare ad insegnare ad un altro. Purtroppo va sempre più scomparendo quella cultura del gioco che consentiva a ciascun individuo di conoscere tante, tantissime possibilità per trascorrere il suo tempo libero, semplicemente, con altri ragazzi e con pochissime risorse materiali; situazione ideale per esercitare la propria autonomia, la propria fantasia, la propria capacità di dialogo; usufruendo di esempi e di stimoli tramandati da ragazzo a ragazzo, stando nell’androne delle scale, sotto i portici, nel cortile, sui marciapiedi o nel campetto adiacente a casa. In questa nuova condizione di vita l’adulto deve non solo interrogarsi, ma decidere di studiare delle soluzioni nuove. Bambini e ragazzi sono soggetti deboli, o meglio, individui preziosi e delicati, molto spesso indifesi di fronte a mode, pubblicità, solitudine, a tutte quelle manifestazioni di frenesia e di superficialità che caratterizzano frequentemente la convivenza moderna. La città è un “ritrovato per vivere” sempre più complesso e confuso; ebbene, la convivenza odierna ha bisogno di nuove soluzioni per i bambini e i ragazzi se si vuole consentire all’individuo di mantenere almeno due fondamentali capacità: quella del rapporto con l’ambiente e quella del rapporto con gli altri individui.
Giocare è stare bene, giocare è imparare, giocare è scoprire il mondo degli altri. Il diritto al gioco è testimoniato dalla scienza e sancito dalle carte internazionali che salvaguardano l’infanzia.
E’ con questo spirito che abbiamo organizzato, a titolo sperimentale, dal 1998 al 2001, delle “giornate” di campo gioco (4-5 domeniche con campeggio notturno tra il sabato e l’ultima domenica), denominate, nell’ambito del progetto dell’Amministrazione Comunale per la Città dei bambini e delle bambine, “L’isola che non c’è”.
L’area si presenta adattissima per il tipo di attività di un parco gioco Robinson; c’è persino un laghetto che abbiamo provveduto a bonificare e ad alimentare con apposito pozzo e nel quale si sono svolte moltissime “avventure” (costruzione e uso di zattere, sistemazione delle scarpate e delle sponde, funicolari che lo attraversano…). Il periodo scelto è stato quello del mese di maggio. Ai partecipanti si offrivano giochi “organizzati” gestiti con o senza un animatore, imprese avventurose di costruzione o conoscenza opportunamente guidate, spazi e tempi liberi con materiali di vario tipo a disposizione.
Un ruolo centrale nella fase attuativa di questo progetto è stato svolto dall’Associazione di Scout CNGEI che ha messo a disposizione l’esperienza dei suoi capi nel difficile compito creativo e di socializzazione degli animatori.
Il successo delle iniziative ha confermato quanto previsto: 60-70 partecipanti per domenica, con un feedback entusiasta sia da parte dei bambini che dei genitori (è stato diffuso un questionario sia agli uni che agli altri), ha verificato la totale mancanza, e la forte esigenza, nella nostra città, di una opportunità di “scoperta di sé e dell’ambiente in piena autonomia” da parte dei bambini.
I giardini pubblici, ben tenuti e attrezzati, possono risolvere le esigenze dei più piccoli (3-5 anni), ma non quelle dei più grandi. Non esistono spazi in cui il bambino possa trovare risorse materiali per crearsi i propri giochi e passatempi, in cui possa stare “in autonomia” senza subire la pressione anche solo – nel più fortunato dei casi – dello “sguardo” del suo accompagnatore, genitore, nonno, baby sitter. La condanna è duplice: oltre a non permettere la formazione di personalità “sane”, la ricerca di palliativi al tempo “libero” crea schiavitù, oltre che al bambino, al genitore, con un conseguente deterioramento della tranquillità familiare.
Le giornate di gioco-avventura che proponemmo si ponevano veramente come alternativa a schemi di pensiero diffuso che mettono a repentaglio la crescita di futuri cittadini autonomi, dotati di un “carattere sociale”, di capacità di operare scelte non imposte. Uno di questi è l’ossessione della sicurezza: è stato verificato che una certa quota di rischio (ovviamente ragionevole) deve considerarsi indispensabile nel processo di acquisizione di autonomia da parte dei bambini. L’esperienza insegna che in questo tipo di strutture la frequenza di “incidenti” (stiamo sempre parlando di avvenimenti a “misura di bambino”) sono meno frequenti che nelle strutture dove i bambini non hanno la possibilità di misurare i propri limiti e le proprie capacità di interazione con le cose, l’ambiente, gli altri. In altre parole, è il trinomio gioco-conoscenza-salute che definisce la dimensione del “benessere” del bambino.
L’obiettivo finale di queste esperienze è stato quello di mettere a punto metodi e strumenti per proporre attività più estese nel periodo estivo impostato secondo i principi del Robinsonismo.
E’ bello pensare che nella nostra città esista un posto dove i bambini possono ricondurre loro immaginazioni di “rifugio”, “isola del tesoro”, “campo di battaglia”, esercitando così, in modo inconsapevole, il senso di ambiente-città come luogo di vita. Secondo il nostro punto di vista questa opportunità concorre a differenziare le offerte di esperienze, dando risposta a forti esigenze, in parte inespresse ma non per questo inesistenti.